giovedì 7 marzo 2013

Chávez e noi.

IL MATTINO, 7 marzo 2013
di Luca Bellino e Silvia Luzi

E' l'alba di una domenica qualsiasi per Chávez. La trasmissione televisiva da condurre per sette ore, le risposte da dare a centinaia di cittadini, gli annunci delle missioni governative da lanciare, i sorrisi da dispensare a tutti. Eppure Chávez appare incuriosito proprio da noi due, pallidi e tesi, impauriti dai militari armati che lo circondano e dal suo modo di fare fin troppo amichevole, abituati come siamo ad essere ignorati anche dall'ultimo consigliere comunale di una piccola città di provincia.
E' il 28 luglio del 2007, il giorno del suo cinquantatreesimo compleanno. Noi stiamo girando un documentario sul socialismo bolivariano, sedotti dalla promessa di una rivoluzione, frustrati dalle mille delusioni della nostra generazione. Chávez è la risposta, per noi e per molti altri, alla fine di un'era.
Ci guarda divertito il Presidente quella mattina prima che l'elicottero si alzi in volo verso una destinazione mantenuta segreta: “Claudia Cardinale! Mi sembri Claudia Cardinale. E tu John Lennon!”. Ci invita a salire con lui sull'elicottero presidenziale, sorride e inizia a canticchiare “la lontananza sai è come il vento...”. Canterà Modugno per tutto il giorno, mentre noi alterniamo incredulità e soggezione di fronte agli scenari di una domenica qualsiasi di una rivoluzione in corso.
Il set televisivo della trasmissione Alò Presidente è imponente, disteso sulle rive del fiume Orinoco, davanti a uno dei più grandi giacimenti petroliferi del mondo. Quel giorno viene formalizzato il progetto del socialismo petrolero, l'ammissione che la rivoluzione è possibile solo grazie alle entrate derivanti dallo sfruttamento del petrolio, ma anche la constatazione che “quando il petrolio finirà in tutto il mondo, al Venezuela ne resterà ancora molto”.
Proprio per questo bisogna difendersi, ci dice il Presidente, e finita la trasmissione ci porta in un aeroporto militare dove sono custoditi gli aerei da guerra appena comprati dalla Russia. Ce li mostra con orgoglio: “io non voglio fare la fine di Saddam Hussein”. E non la farà. Gli Stati Uniti sono il nemico da evocare e attaccare a ogni occasione, ma sono anche il primo partner commerciale del Venezuela, gli uni dipendono dagli altri. A Caracas dicono che Chávez e gli Usa sono come moglie e marito, litigano tutto il giorno ma poi si coricano a letto insieme. Sette ore di diretta dopo, con decine di collegamenti nei luoghi più lontani del Paese e un'orchestrina che canta in chiusura, Hugo Chávez ci abbraccia e ci regala la sua ricetta per la comunicazione: “prendere i cannoni più potenti e iniziare a bombardare”.
Della sua onnipresenza ce ne rendiamo conto nei mesi che seguono, mentre continuiamo le riprese del nostro documentario. L'icona Chávez è ovunque e l'atmosfera di tensione che si respira per le strade del Paese ci offre la suggestione che darà origine al titolo del film: La Minaccia. Chávez si sente minacciato dagli Stati Uniti, Washington descrive il Venezuela come la più grande minaccia dai tempi dell'Unione Sovietica, e soprattutto tutti i cittadini, chavisti e oppositori, si sentono costantemente al centro di intimidazioni e avvertimenti.
La Minaccia racconta l'enigma Chávez, andando oltre la fascinazione per la persona e lasciandosi alle spalle i ricordi e le immagini di una giornata unica e irripetibile. Abbiamo cercato di evitare l'apologia e la denigrazione, e dopo 14 anni di epopea chavista il nostro film resta l'unico affresco della rivoluzione bolivariana. Abbiamo girato il mondo per presentarlo, dalla Commissione Europea alla Cambridge University, dal Giappone al Brasile, e ovunque abbiamo trovato due fronti contrapposti. Chávez eroe o Chávez dittatore. Per noi l'enigma non si è sciolto.


Luca Bellino, Silvia Luzi